lunedì 18 gennaio 2021

Segnalazione "Le campane di San Pietroburgo" di Jessica Marchionne

TITOLO: Le campane di San Pietroburgo
AUTORE: Jessica Marchionne
EDITORE: Words Edizioni
GENERE: Fantasy storico
FORMATO: Ebook (2,99) - Cartaceo (12,90)
RELEASE DATE: 18.01.2021
DISPONIBILE SU AMAZON E IN TUTTE LE LIBRERIE

Esce oggi "Le campane di San Pietroburgo" di Jessica Marchionne edito dalla Words Edizioni.

Sinossi:
Viktor è solo un bambino quando riceve in dono dal fratello Ivan un diario, a suo dire, capace di realizzare tutto quello che vi viene scritto: è così che esprime il desiderio di diventare Zar. Ma la sua vita, nel pieno della prima grande guerra, è destinata a essere stravolta: viene venduto dal padre a uno strano uomo di nome Gavril, segnato dalla perdita di moglie e figli. Di loro gli resta solo un orologio fermo, che all’improvviso riprende a ticchettare con l'arrivo di Viktor. Quando Palazzo d’Inverno viene attaccato, però, tutto sembra perduto ancora una volta. Anni dopo, Viktor incontrerà Anastasia Romanov, e insieme a lei, dopo essere diventato Zar, riconquisterà la città fino all’avvento di Stalin. Ma ecco che, quando le campane di San Pietroburgo risuoneranno, il diario rivelerà ancora una volta la sua magia. E cosa ne sarà di Gavril, legato a quell’orologio che segna il tempo in bilico tra la vita e la morte?

L’autrice:
Jessica Marchionne è nata a Sezze nel 1991. È laureata in ‘Editoria e scrittura’ e ha continuato a
frequentare corsi e tirocini anche dopo gli studi nella speranza di trasformare la sua passione in lavoro.
Legge da sempre qualsiasi genere anche se predilige il fantasy e lo storico. Ha un blog ‘Luce sui libri’
dove recensisce libri di autori emergenti e dispensa ogni tanto qualche consiglio. Ama i videogiochi, gli
animali e pensa che l’autunno sia la stagione che meglio le si addice.
Le campane di San Pietroburgo edito da Words Edizioni è il suo romanzo d’esordio.

Estratti:
1.«Nel nostro Paese, specialmente adesso, non sempre le cose vanno come vogliamo. Semmai un giorno ti sentissi triste, invece di guardare solo fuori dalla finestra, potrai redigere la tua storia. Questo diario però accetta solo racconti belli, e se non scriverai niente di brutto, anche la realtà non sarà tale» disse.
«Davvero?» domandai, guardando il diario sempre più meravigliato.
«Ha anche un altro pregio: puoi immaginare il tuo futuro e confidarlo alle sue pagine. Se lo scriverai come lo desideri, allora si realizzerà.»
«Se scrivo che diventerò Zar, quindi, succederà?» chiesi eccitato.
«Se lo vuoi, sì. Il diario poi farà il suo lavoro. Comincia con la storia di adesso, sono sicuro sarà magnifica. E ricorda, Viktor, cos’è che il diario vuole?»
«Solo racconti belli» risposi con un sorriso.

2. «Cosa significa che non ritorneranno?» chiesi, flebile. Il mio respiro si condensò nell’aria.
«Tuo padre ti ha venduto a me. Sei uno dei tanti doni che mi ha lasciato per poter passare indenne il confine. Gli serviva una raccomandazione, siccome non è amico dei bolscevichi…»
Quelle parole risuonarono stonate alle mie orecchie. Non ci credevo, non le comprendevo. Sapevo che mio padre mi odiava e voleva sbarazzarsi di me, per questo speravo mi mandasse via un giorno, magari in qualche bel posto. Alla fine era successo, e Ivan era stato suo complice.
Mi aveva fatto perdere tempo nel riporre giusto quei due ciondoli, sicuramente lasciati di proposito nel comò. Scuotevo la testa mentre ricordavo e una lacrima provò a scivolarmi lungo la guancia, ghiacciandosi tra le mie ciglia. Guardai l’uomo e come un automa scesi le scale: mi sembrava di sprofondare sempre più verso l’inferno, e mai quell’inferno mi era sembrato più freddo.

3. «Quando dici che non c’è più, vuoi intendere che è morto?»
«No, o almeno non credo…» risposi incerto.
«E allora non dire che non c’è più. C’è e lo devi trovare.»
«Ma come?»
«Tornando nel passato, come ti ho detto.»
«Rozovij, è imposs…»
«Non lo è» mi interruppe. «Niente lo è. Se lo fosse, io non sarei riuscito a portare delle rose nell’inverno di Pietrogrado.»
«Non profumano» dissi. Era vero. La rosa che mi aveva dato non appassiva, ma non profumava.
«Quello che serve adesso è solo un po’ di colore, non il profumo, capisci perché te l’ho voluta dare?
Bastava solo il colore, era quello che serviva a te, quando ti ho visto la prima volta.»
Rimasi allibito.
«Così non è una vera rosa però, no?» chiesi poi, titubante.
«Ma se lo vuoi, lo sarà.»
«Se è il colore che vuoi portare perché adesso le vuoi prendere bianche?»
«Tra poco il colore dominante sarà il rosso. Colorerà anche la neve. Dovrò riportare il bianco.»

4. «Credi davvero che un giorno ci riusciremo?» mi domandò Anastasia una sera, guardando oltre uno dei balconi di Palazzo d’Inverno.
«Ne stai forse dubitando?»
Anastasia scosse la testa e dei riccioli rossi ribelli le caddero sul viso.
«Solo che mi sembra così strano. Un mio grande desiderio sta davvero per diventare realtà. Ho riconquistato il mio palazzo e presto avrò la testa di Lenin.» Attese qualche secondo. «E tu sei mai stato così vicino alla realizzazione di un sogno, tanto da non crederlo possibile?»
La sua domanda mi piegò la bocca in un leggero sorriso.
Le presi la mano e la guardai intensamente negli occhi. Lei sostenne il mio sguardo e per la prima volta vi lessi una leggera paura, poi mi sorrise a sua volta e strinse forte la mia presa.
«Era il tuo stesso sogno» sussurrai e le baciai la mano.
«Era, dici?» chiese, arrossendo appena.
«Sì, era. Perché insieme l’abbiamo realizzato. Smettila di pensare non sia vero e guarda oltre il balcone. Laggiù è radunato un vero e proprio esercito che siamo riusciti a formare in pochi anni. Un esercito che combatte per noi. Lo sai che neanche io all’inizio ci credevo, ma sei stata tu a trasformarlo in realtà.»

5. L’orologio da poco comprato al figlio era quasi distrutto nel suo palmo: il disegno della rosa incrinato, la gabbia dorata mancante di pezzi, non si sentiva nessun ticchettio, era rotto in maniera irreparabile.
«Aprilo, coraggio» lo invitò Maksim con una voce fintamente squisita. Come se stesse cercando di invogliare un bambino demotivato.
Le sue dita tremarono troppo e non riuscì a schiuderlo al primo tentativo. Non era solo per la lana del guanto che scivolava sopra il piccolo oggetto mezzo distrutto, non riusciva davvero a controllare quel tremolio spastico.
Quando riuscì ad aprirlo, guardò il vetro completamente scheggiato, lì dove le lancette si erano fermate alle 12:30 esatte.

Alla prossima,
Berta

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